Intervista al Dottor Sinigaglia della Dottoressa Ingrid Mazzoleni in proposito al lavoro svolto con persone in stato di coma

Frequento Scienze dell’ Educazione e sto preparando una tesi che riguarda lo stato vegetativo e minimo responsivo. Vorrei chiederle di parlarmi della sua esperienza e delle sue emozioni.Se lei mi parla di emozioni io le rispondo che l’emozione è di fatto la reazione ad una situazione circostante, il sentimento invece, oltre a questo, coinvolge uno stato di coscienza.
L’animale prova un’emozione di paura, ma per quelle che sono oggi le nostre conoscenze noi non gli attribuiamo un sentimento, per esempio religioso, perché attribuiamo livelli di coscienza differenti tra l’uomo e l’animale.
La distinzione tra emozione e sentimento è quindi fondamentale all’interno di un contesto di relazione.
L’impressione più viva nel rapporto con persone in stato vegetativo e m.c.s. è quella di verificare come alcune parti dell’individuo siano fortemente compromesse mentre altre mantengano il loro ruolo vitale nell’individuo; voglio dire che mi sono trovato con persone non in grado di controllare le proprie manifestazioni motorie, ma vive e vigili sul piano del sentimento. D’altronde questo è perfettamente logico, perché se tutte le funzioni dell’ individuo (pensiero, sentimento, motorio) fossero annullate, l’individuo non sarebbe in vita.
Il punto quindi è che si incontrano persone che vivono, si ritrovano a vivere stati di coscienza per noi difficilmente comprensibili, perché in condizioni oggettive estremamente differenti.
La mancanza di “espressibilità” porta a vivere il sentimento in maniera differente.
Se nella coscienza dell’individuo sorge un sentimento, il sentimento, modificando la coscienza si esprime e modifica il pensiero e il corpo. Ci troviamo così di fronte ad un essere umano che interagisce ed agisce nel mondo nella sua completezza. Ma se varie parti dell’individuo non permettono questa interazione tra coscienza e funzioni, perché le funzioni sono compromesse, è diverso anche lo stato coscienza.
Se una o più di queste funzioni vengono a mancare o vengono compromesse non cambia la qualità della coscienza, l’individuo è sempre lo stesso, cambia il rapporto che la coscienza ha con il mondo. Se la coscienza venisse a mancare mancherebbe l’essere in vita dell’individuo.
Una terapia prevede una modificazione della situazione; per avere una modificazione è necessario avere un cambiamento, per avere quest’ultimo è necessario ci siano delle motivazioni per sostenere il costo del cambiamento.
E’ evidente che non possiamo considerare le motivazioni che generalmente muovono l’essere umano applicabili a persone con un tipo di coscienza (per le motivazioni sopra descritte) differenti dal nostro.
Per tipo di coscienza bisogna intendere come il pensiero, il sentimento, il corpo svolgano la funzione di strumenti di relazione e mediazione tra la coscienza stessa dell’individuo e il suo agire nel mondo. Ovviamente anche il mondo agisce e modifica “il comportamento” dell’individuo, cioè la sua coscienza stessa, instaurando una corrispondenza biunivoca.
Questo comporta un approccio metodologico che sia in grado di svelare e verificare i propri paradigmi ad ogni passaggio. Sappiamo che le motivazioni che portano ad un cambiamento sono strettamente legate all’immagine che ogni individuo si costruisce di se stesso. In situazioni di questo genere risulta difficile comprendere quale sia l’idea che l’individuo, con cui si interagisce, ha di se stesso e quali possano essere le motivazioni per un possibile cambiamento.
Personalmente ritengo che interagire con individui in situazioni come queste permetta l’abbattimento di molte sovrastrutture culturali e morali. Per instaurare una relazione è necessario spogliarsene fino ad ottenere una essenzialità che il mondo civile media con precisi rituali (I. Goffman, Palo Alto) . E’ possibile vivere e cercare di comprendere alcuni processi fondanti di quel sistema di cellule che chiamiamo essere umano.
Sul piano professionale la trasferibilità di queste esperienze può avere grande valore.